
Gruppi di lavoro WhatsApp, il lato oscuro-classifichemusica.com
Una psicologa rivela la ragione per cui diverse persone, nei gruppi di lavoro, tendono a fare silenzio. Cosa sapere
Nell’epoca della comunicazione istantanea, WhatsApp si è affermato come uno degli strumenti più utilizzati al mondo per tenersi in contatto. Oggi l’app non è più solo un semplice mezzo per scambiarsi messaggi: è diventata una vera e propria piattaforma sociale, capace di accorciare distanze, creare reti di lavoro, coordinare eventi familiari e gestire attività quotidiane.
Non si tratta più di uno strumento dedicato alla sfera privata, bensì è diventato a tutti gli effetti anche uno strumento lavorativo davvero performante. Le sue funzioni si sono evolute in maniera esponenziale: dalle chat vocali alle videochiamate, dall’invio di documenti alla condivisione di posizione in tempo reale.
WhatsApp è ormai parte integrante della nostra routine digitale. Una delle funzioni più usate è quella dei gruppi, che nascono per le più svariate esigenze: il classico “Gruppo Famiglia” dove si condivide lo spazio digitale con i propri familiari, quello della scuola dove si prendono decisioni in merito ai propri figli e la loro carriera scolastica, o ancora il gruppo del calcetto del giovedì sera, quello dei colleghi di lavoro o, ancora, i gruppi lampo per eventi dell’ultimo momento.
Alcuni sono vivaci, caotici, quasi impossibili da seguire. Altri, invece, sono deserti, silenziosi, quasi imbarazzanti. E proprio su questo silenzio si è espressa di recente una psicologa, sottolineando il lato oscuro di questo “vuoto”.
Silenzio sui gruppi WhatsApp: ecco perché in quelli lavorativi potrebbe diventare una trappola per la mente
Chi non ha mai fatto parte di un gruppo WhatsApp? Che si tratti di colleghi, amici o familiari, queste chat collettive sono diventate un angolo quotidiano della nostra vita digitale. Alcuni partecipano con entusiasmo, rispondono all’istante, inviano cuori, sticker e battute; altri preferiscono osservare in silenzio, senza mai digitare una parola.

Ma cosa si cela dietro queste abitudini così diverse? Rispondere subito, o non rispondere affatto, non è semplicemente una questione di educazione o disinteresse. Dietro questi comportamenti, spiega la psicologa, si nascondono dinamiche più profonde, legate alla personalità, al momento che si sta vivendo o alla propria relazione con il gruppo. Non esiste, comunque, una regola universale che possa stabilire cosa sia giusto o sbagliato: ogni persona ha il proprio modo di stare nel mondo digitale, esattamente come nella vita reale.
Per alcuni, il silenzio è una forma di protezione, un modo per non sentirsi sopraffatti da notifiche incessanti. Per altri, è semplicemente una preferenza, un bisogno di distacco. Interpretare il mancato messaggio come un rifiuto personale può diventare pericoloso, alimentando ansie e fraintendimenti.
La chiave è ricordare che non tutto ciò che non viene detto ha un significato nascosto. Soprattutto in ambito lavorativo, dove il rapporto è più formale e distaccato che nei rapporti di amicizia, è bene evitare di attribuire significato alla mancanza di risposte, poiché può diventare una vera e propria trappola per la mente.
Se l’assenza di risposte ci ferisce, meglio evitare supposizioni e scegliere il dialogo diretto, privato. Solo così si costruisce una comunicazione autentica.